Gli Individual Media e il nuovo stile di visione
di Annalisa Gambino
Il progresso tecnologico, dagli inizi del secolo scorso, sembra non accennare a fermarsi. La sua inesorabile avanzata ha portato e continua a portare profonde trasformazioni nel tessuto sociale e nella vita di tutti i giorni. Anche la storia degli audiovisivi avanza e può essere divisa in tre epoche corrispondenti a specifiche norme comportamentali dello spettatore.
Epoca del cine-varietà e della cine-fiera, dal 1895 al 1915: allo spettatore è richiesta un’attenzione limitata sia nella durata sia nell’intensità. La visione é accompagnata e sovrastata da altri tipi di spettacoli e di attività come il cabaret, le scenette comiche, le gag e i cinegiornali. Epoca del cubo opaco (definizione coniata da R. Barthes), dal 1930 al 1975 : il cinema diventa in grado di raccontare storie e intrattenere una platea per un tempo variabile, tra i venti minuti e un’ora. Con il diffondersi di un nuovo tipo di pellicole propriamente narrative, si cerca l’attenzione sempre maggiore da parte degli spettatori. Epoca degli individual media classificata dai critici come l’epoca della catarsi a bassa densità: dal 1975 ad oggi, con l’avvento della televisione, le nuove tecnologie domestiche hanno smesso di imporre un unico modello di fruizione, lasciando gli spettatori più liberi mettendo in crisi lo stile di visione cinematografico e la sue esclusività nel mostrare immagini in movimento.
L’ avvento dirompente della televisione ha portato poi grande scompiglio nelle abitudini visive e sociali dello spettatore. Per il timore della concorrenza televisiva, l’industria cinematografica ha reagito con diverse contromisure: dal boicottaggio delle grandi imprese hollywoodiane, che negarono alle reti la trasmissione dei propri film, all’introduzione di tecniche spettacolari che sottolineavano la differenza tra la visione in sala e quella domestica (come cinema-scope ovvero il cambiamento del formato dell’immagine). Anno cruciale è il 1956 a partire dal quale è stato possibile vedere i film in televisione; tale slittamento ha comportato un ulteriore cambiamento comportamentale e percettivo dato dalla privatizzazione della visione e lo stravolgimento dei formati. La televisione ha copiato fedelmente il formato quasi quadrato dello schermo cinematografico, fino ad allora di 1.33, più comunemente detto 4/3 (rapporto larghezza/altezza).
A questo punto, per diversificarsi dalla televisione, il cinema decide di introdurre nuovi formati chiamati wide, dove il rapporto tra base e altezza è molto più sbilanciato nel senso della larghezza. I nuovi formati cinematografici (2.35 o 21/9) in contrasto con l’immagine statica del quadrato, assicurano un pathos emotivo maggiore riportando nuovamente il cinema ad una condizione esclusiva. L’avvento degli individual media non decreta la morte del cinema anzi ne stimola il perfezionamento. La fruizione domestica degli audiovisivi implica un ulteriore cambiamento di quel modello spettatoriale che si era imposto nel corso del XX secolo. La televisione libera lo spettatore dai vincoli comportamentali che il cinema richiede: emancipati da una condotta standardizzata gli spettatori si sono trovati liberi di scegliere da soli come, dove e quando guardare uno spettacolo. Con la privatizzazione della visione è venuta a mancare soprattutto quella funzione collettiva e rituale che ha caratterizzato da sempre il mondo dello spettacolo.
La fine del regime comunitario di visione è stata avvertita come la principale novità del piccolo schermo. A partire dagli Anni ‘80 i teorici dei mass media, in rapporto ai cambiamenti tecnologici e sociali, hanno coniato due termini antitetici per descrivere l’esperienza cinematografica e televisiva: lo sguardo o gaze (attento,concentrato e raccolto) per il cinema e l’occhiata o glance (rapida, svagata e superficiale) per la televisione. La diffusione della televisione ha determinato l’edificazione di un ulteriore stile di visione post-cinematografico.
Oggi, con una crisi d’idee sempre più preoccupante ed una moltiplicazione incredibile delle possibilità di visione cinematografica (DVD, Blu-Ray, pay TV, Internet), il cinema cerca di rispondere con un’altra evoluzione tecnologica: il digitale 3D. Questa nuova tecnologia rischia però di provocare l’effetto contrario, determinando semmai un’analogia con i sistemi di fruizione individuali da cui il cinema si è sempre voluto emancipare e distinguere. Lo spettatore, infatti, nel momento in cui indossa gli occhialini si ritrova isolato, alienato, pur rimanendo in un complesso collettivo. Viene sacrificata la peculiarità più antica del cinema, quel rituale magico, sociale e collettivo in favore a una totale immedesimazione che risulta tuttavia sempre più in-comunicativa.